Il Castello Templare di Roseto

E’ dal 2012 ormai che come associazione abbiamo aggiunto alle nostre ricerche quella storica, principalmente sulla storia del Sud Italia e della nostra Calabria in particolare. In questo percorso la nostra attenzione si è focalizzata sulla storia dei Templari e della loro presenza e sulle loro gesta avvenute nella nostra Regione.
Abbiamo incontrato molte persone e visto tanti luoghi, possiamo citare Castrovillari, Cosenza, Morano Calabro, Malvito, per citarne alcuni, l’ultima, per ora, tappa è stata al Castello di Roseto Capo Spulico.

29133277_10215061804207876_7876570168260076775_n
Sapevamo della bellezza del luogo, e sapevamo che avremmo trovato qualcosa di interessante. Ma in realtà per una giornata ci siamo completamente dimenticati di essere in Calabria e anzi sembrava di essere in un Castello in Scozia o nel Nord della Francia. A ricordarci dove eravamo è stato lo splendido sole. Perchè questo? Per la elegante e cortese accoglienza da parte della Famiglia Cosentino, di Michele in particolar modo, il quale ci ha guidato in maniera impeccabile tra le splendide stanze del castello, facendoci da cicerone.

23032616_1717849274893044_92711044624372931_n

Ci ha colpito soprattutto la bellezza del posto, che inevitabilmente quando si vive e si calpesta, rende tutto un pò magico, per un’istante mi son sentito Cavaliere anche io.

Qui tutto parla di storia dalle lastre di pietra nel mare sottostante al più piccolo mattone. Sfiorare quelle mura insinuarsi nelle scale del castello ci avvicina a quella grande personalità che era Federico II.

Qui i misteri sono tangibili, non vi è bisogno di immaginarli, qui sembra di essere a Rosslyn o a Rennes le Chateau. Certo sono rimasti piccoli segni, ma abbastanza per far capire la grandezza e la magnificenza di questo piccolo avamposto. Il Castello di Roseto Capo Spulico, è un castello fortificato a difesa della costa dell’Alto Ionio Cosentino, risalente ad epoca normanna, ricostruito nel Duecento per volontà dell’imperatore e re di Sicilia Federico II di Svevia, rimaneggiato più volte fino al secolo XVI.

Nel XIII secolo fu requisito da Federico II ai Cavalieri Templari, per ritorsione verso il loro tradimento durante la VI crociata in Terra Santa, e divenne fortezza prettamente militare; dai registri angioini si conosce l’entità della guarnigione assegnata alla fortezza, che nel 1275 risulta composta dal castellano, uno scudiero e da dodici guardie. Già la sua pianta trapezoidale testimonia il riferimento al tempio di Gerusalemme e basti leggere nelle antiche mappe catastali, Foglio 34 del Comune di Roseto Capo Spulico, i nomi delle contrade che circondano il maniero per confermare detta ipotesi: a Nord del Tempio troviamo il fiume Giordano che poi scende verso Est; a Nord troviamo la terra Giordana con il primo paese di Montegiordano, confinante col maniero; a Sud leggiamo il nome di Piano d’Orlando, che richiama Re Artù ed i Cavalieri della Tavola Rotonda alla Ricerca del Sacro Graal; ad Ovest leggiamo il nome di Piano di Salomone, il re costruttore del Sacro Tempio di Gerusalemme; ad Est l’acqua dello Jonio, come a rappresentare l’acqua del Giordano che scende da Nord verso Est, rispetto alla Città Santa. A conferma rileviamo i seguenti segni esoterici inseriti su un imponente portale in stile gotico:

la rosa crociata, i petali di giglio,

23131824_1717848424893129_3052749527959858431_n.jpg
il cerchio di Salomone e lo stemma con grifone,
emblema del casato Svevo. Ed ancora: un onfale con sopra incisi i segni della Passione di Cristo con l’Agnus Dei,

il tetragramma di Heavè, una croce cristiana all’ingresso del piano terra e, sul cornicione di detto ingresso, i numeri romani che richiamano i versetti di inno ad Allah del Corano. Segno che Federico credeva nella unione delle tre religioni monoteiste.
23172555_1717848261559812_4188168074494277282_n
Il castello è di forma trapezoidale ed ha tre torri di avvistamento possenti, una delle quali più alta, merlata e a pianta quadrangolare. Il Castello è stato costruito su di un luogo che con molta probabilità ha o aveva una particolare energia se consideriamo che dapprima vi era un tempio dedicato a Venere, poi un monastero e infine una postazione Templare, prima di passare nelle mani di Federico II, il quale lo lasciò come unico castello in dote al suo unico figlio legittimo.

23167870_1717843928226912_4563360019435262189_n

Qui potrete vedere il Documentario realizzato con in dettaglio tutto quello che lì abbiamo trovato.

Credits:
Documentario:Aurelio Gioia
Foto:Alfonso Morelli

Giuseppe Oliva – team Mistery Hunters

I Miti e le Leggende più Interessanti della Calabria

Che la Calabria sia una terra intrisa di storia, è cosa ormai nota. Più di quanto si possa immaginare. In questo scorrere del tempo, la “Storia” si è imbevuta di tante leggende e miti. Questi spesso si intrecciano con la storia dei luoghi e il sottile tra storia e leggenda resta sottilissimo. Altre volte sono evidenti tracce mitiche che sono state tramandate nel tempo, ma che restano affascinanti e ci dovrebbero far capire, come la Calabria sia spot di se stessa semplicemente raccontandosi. Abbiamo trovato in giro per il web e su alcuni libri, di autori Calabresi diverse leggende e miti, ne citeremo solo alcuni da noi ritenuti interessanti.

Le bocche dell’inferno a Cessaniti

Nella periferia di Cessaniti in Provincia di Vibo Valenzia c’è una zona conosciuta dalla gente del luogo come “vucchi du ‘mpernu” (bocche dell’inferno). Un luogo misterioso, dove nel terreno accanto alle radici di giganteschi ulivi secolari ci sono delle grandi cavità dalla forma circolare quasi perfetta, profonde più di quaranta metri, delle buche da cui escono fortissime correnti d’aria. Secondo la leggenda il diavolo dimora lì sotto e le correnti sono il suo respiro; secondo un’altra leggenda ci vivono dei piccoli folletti vestiti di rosso, molto dispettosi. Una terza leggenda narra che in questo luogo si nasconde Lamia, un mostro donna che si nutre di sangue umano. Si narra che queste bocche un tempo ingurgitarono tutto il centro abitato.

Pietra Kappa in Aspromonte

Una leggenda legata a Gesù ed agli apostoli aleggia in prossimità di un monolite ai piedi dell’Aspromonte. Si narra che Gesù camminava insieme ai suoi apostoli e ad un certo punto avvertirono un senso di fame. Gesù propose di fare una penitenza, invitando gli apostoli a prendere una pietra ed a portarla fin su in montagna. Tutti gli apostoli presero pietre abbastanza pesanti e si incamminarono verso la vetta. Solo Pietro prese un piccolo ciottolo e si avviò. Arrivati in cima le pietre si trasformarono in pane e mentre gli altri apostoli si ritrovarono con delle belle pagnotte, Pietro si dovette accontentare di un misero pezzo di pane, grande quanto il ciottolo che aveva trasportato. Per ricordare l’episodio Pietro chiese a Gesù di lasciare lì quella pietra e sfiorandola essa diventò gigante, al punto da ricoprire tutto il terreno circostante. Successivamente Pietro decide di imprigionare in quel masso la guardia che schiaffeggiò Gesù al Sinedrio. La leggenda narra che la guardia sia stata condannata a schiaffeggiare le pareti della roccia e che chiunque passi da lì sente i suoi lamenti e le sue grida.

Fata Morgana

Una delle più belle e affascinanti leggende che vi sono in Calabria è sicuramente questa. Chi è riuscito a “vedere” questa magia ne è rimasto colpito. E’ la Fata Morgana, un fenomeno ottico simile a un miraggio che si può osservare dalla costa calabra quando aria e mare sono immobili. La leggenda racconta che anche Ruggero I d’Altavilla fu incantato dal sortilegio. Per indurlo a conquistare la Sicilia, con un colpo di bacchetta magica la Fata Morgana gliela fece apparire così vicina da poterla toccare con mano. Ma il re normanno, sdegnato, rifiutò di prendere l’isola con l’inganno. E così, senza l’aiuto della Fata, impiegò trent’anni per conquistarla. La costa siciliana, vista da quella calabrese, sembra distare pochi metri. Si possono distinguere molto bene le case, le auto e addirittura le persone che camminano nelle strade di Messina. Il tutto avviene quando sulla superficie del mare, minuscole goccioline di acqua rarefatta, fanno da lente di ingrandimento. Il fenomeno prende nome dalla Fata Morgana della mitologia celtica.
Questa è un’altra versione del mito della Fata Morgana. Era agosto, il cielo e il mare erano senza un alito di vento, e una leggera nebbiolina velava l’orizzonte, durante le invasioni barbariche dopo avere attraversato tutta la penisola, un’orda di conquistatori giunse alle rive del mare Jonio nella città di Reggio Calabria e si trovò davanti allo stretto che divide la Calabria dalla Sicilia. A pochi chilometri sull’altra sponda sorgeva un’isola con un gran monte fumante, l’Etna, ed il Re barbaro si chiedeva come fare a raggiungerla trovandosi sprovvisto di imbarcazioni quindi impotente davanti al mare. All’improvviso apparve una donna meravigliosamente bella, che offrì l’isola al conquistatore, e con un cenno la fece apparire a due passi da lui. Guardando nell’acqua egli vedeva nitidi, come se potesse toccarli con le mani, i monti dell’isola, le spiagge, le vie di campagna e le navi nel porto. Esultando il Re barbaro balzò giù da cavallo e si gettò in acqua, sicuro di poter raggiungere l’isola con due bracciate, ma l’incanto si ruppe e il Re affogò miseramente. Tutto infatti era un miraggio, un gioco di luce della bella e sconosciuta donna, che altri non era se non la Fata Morgana. Il fenomeno si ripete ancora oggi nei giorni calmi e limpidi d’estate, nelle acque della riva di Reggio.

Scilla e Cariddi

Cariddi, nella mitologia greca era un mostro marino, figlia di Poseidone e Gea, che formava un vortice marino, capace di inghiottire le navi di passaggio. La leggenda la situa presso uno dei due lati dello stretto di Messina, di fronte all’antro del mostro Scilla. Le navi che imboccavano lo stretto erano costrette a passare vicino ad uno dei due mostri. In quel tratto di mare i vortici sono causati dall’incontro delle correnti marine, ma non sono di entità rilevanti. L’espressione «essere tra Scilla e Cariddi», indica il rischio di sfuggire ad un pericolo per correrne un altro. Secondo il mito, gli Argonauti riuscirono a scampare al pericolo, rappresentato dai due mostri, perché guidati da Teti madre di Achille, una delle Nereidi.Cariddi è menzionata anche nel canto XII dell’Odissea di Omero, in cui si narra che Ulisse preferì affrontare Scilla, per paura di perdere la nave passando vicino al gorgo. Scilla è una figura della mitologia greca, era un mostro marino. La leggenda vuole che dimori sotto il promontorio di Scilla, da cui uscirebbe di tanto in tanto scatenando spaventose tempeste e terrorizzando i naviganti che possono solo sperare nell’intervento di Glauco, trasformatosi in un tritone marino per amore della ninfa, che emerge a placare i venti ogni volta che infuria la tempesta. Nell’Odissea, Omero la descrive come un’immortale, figlia della dea Crateis. La indica come un mostro con sei teste e dodici gambe, che strappava i marinai dalle loro navi, quando, per evitare i vortici di Cariddi, si avvicinavano alla sua tana. Altre tradizioni la indicano come figlia di Forci e di Ecate. La fanciulla era amata da Poseidone, Anfitrite ne era gelosa ed avvelenò l’acqua nella quale si bagnava e la trasformò in mostro. Scilla viene talvolta indicata come la personificazione della piovra che vive nelle acque del Mar Mediterraneo.

Il Mito di Ligea

Ligea è una figura della mitologia dell’antica Grecia e di Roma. Nell’arte greca, fin dal periodo arcaico, fu raffigurata con busto di donna dalle braccia nude e con corpo di uccello con coda e ampie ali. Compare in statue isolate e in rilievi ad ornamento di tombe, generalmente in atto di suonare la cetra, oppure in vasi dipinti, mosaici, pitture, sarcofagi romani. Considerate originariamente geni della morte, le sirene, capaci di ammaliare gli uomini, hanno avuto larga parte nell’Odissea di Omero quali tentatrici, con il loro canto, del re Ulisse.
La loro sede fu variamente localizzata nell’Italia meridionale, mentre il loro numero variò da due a quattro. Erano considerate figlie di Forci e di Ceto. La leggenda dice che, compagne di giochi di Persefone, per non aver salvato dal rapimento da parte di Plutone la figlia di Demetra, furono da questa trasformate in sirene.
Nel 1998 su Piazzetta S. Domenico, nel mio paese, a Nicastro (oggi Lamezia Terme), in Calabria, hanno inaugurato una statua, opera dell’artista napoletano Dalisi, dedicata alla sirena Ligea.
Secondo la leggenda Ligea, la più piccola delle sirene, come le sue consorelle, subì un tragico destino. Decisa a morire, si affidò al mare in tempesta da cui si fece trasportare senza opporre resistenza finché non arrivò al Golfo di Sant’Eufemia. Fu trovata morta dai marinai sulla riva dell’Ocinaro, dove fu sepolta. Su una piccola isola formata da materiale ghiaioso trasportato durante le alluvioni fu eretto un gran monumento a suo ricordo. Si ipotizza che l’Okinaros altro non fosse che il fiume Bagni, la cui foce a quell’epoca molto frastagliata era circondata da una vegetazione molto fitta.
“O viandante, se vorrai conoscere il percorso della sirena Ligea che sarà spinta dai flutti a Terina…I Faleri la seppelliranno nelle arene del lido contiguo ai vortici dell’Ocinaro dove era anche il sepolcro del Marte dalle corna di bue, dovrai attraversare la Via Traiana, raggiungere Terina dal Golfo Terineo o Lametino…”
Gli abitanti di Terina furono dispersi da Annibale nel 203 a.C., ma la vera fine di Terina fu opera dei Saraceni nel 950 circa, che, distruggendo Lamezia (oggi Sant’Eufemia) e Aiello, distrussero Terina che si trovava tra queste due.
L’interrogativo sull’esatta individuazione di Terina, città della Magna Grecia, fondata dai Crotoniati nel corso del VI secolo a. C., rimane ancora senza risposta e solo dopo che sarà trovata sarà anche possibile trovare il monumento sepolcrale eretto a Ligea.
Ligea è raffigurata in varie monete di Terina: in alcune è seduta su un cippo mentre gioca con una palla lanciata con la mano destra, in altre riempie un’anfora con l’acqua che esce dalla bocca di un leone.

L’assedio del castello Normanno di Stilo

Secondo una leggenda, nell’anno 982, il califfo arabo Ibrahim Ibn Ahmad partì dalla Sicilia per nuove conquiste nella Calabria bizantina. Quando giunse in prossimità di Stilo, fu avvistato dagli abitanti della zona che, per ordine del “granduca”, su suggerimento di San Giorgio, protettore di Stilo, tutta la popolazione si rifugiò all’interno del castello normanno. Il califfo turco considerando che era quasi inaccessibile raggiungere il castello, avendo una sola via di accesso stretta e angusta, percorribile da una persona alla volta, in fila indiana, decise di assediarlo e attendere di poterlo conquistare “per fame” quando le provviste si sarebbero esaurite. Arrivò il tempo che le provviste all’interno del castello cominciarono a scarseggiare, aumentava così la preoccupazione per una resa ormai prossima. Il granduca, nella disperazione del momento, astutamente, tentò uno stratagemma per far desistere il nemico dal suo intento di conquista. Fece raccogliere il latte delle donne che avevano avuto dei figli da poco e con lo stesso fece fare una grossa ricotta che sparò contro gli Arabi appostati fuori le mura. Gli invasori si convinsero così che nel castello avessero grandi riserve di cibo se si permettevano il lusso di usarlo come proiettile contro il nemico e quindi l’assedio si sarebbe protratto ancora per molto tempo. Tra l’altro il califfò mangiò la ricotta ammalandosi di dissenteria che, erroneamente curata con decotti di salvia dai suoi medici, peggiorarono ulteriormente la malattia. A prendere il comando dell’esercito musulmano fu il nipote del califfo, Gabir, che decise di togliere l’assedio al castello e ritarsi. Il luogo in cui la ricotta che permise di liberare il castello dall’assedio Arabo fu chiamato “Vinciguerra”, denominazione tutt’oggi esistente.

L’oracolo di Capo Vaticano

A lungo considerato luogo inaccessibile e sacro, Capo Vaticano, con il suo promontorio magico, si affaccia sul mar Tirreno nella provincia calabrese di Vibo Valentia. La magia salta agli occhi già dal nome: Vaticano deriverebbe infatti dal latino Vaticinium, che significa oracolo, responso, a rievocare una leggenda che vuole la punta estrema del promontorio abitata dalla profetessa Manto. A lei si sarebbero rivolti i naviganti prima di avventurarsi tra i vortici di Scilla e Cariddi e lo stesso Ulisse, scampato agli scogli del pericolo, avrebbe chiesto auspici a Manto circa la prosecuzione del suo viaggio. Ricorda le antiche origini di questo mito anche lo scoglio che sta davanti al capo e porta il nome di Mantineo, dal greco Manteuo, dò responsi. Sotto il promontorio si distendono spiagge di sabbia bianca e finissima, lambite da un’acqua cristallina. Tra le spiagge più suggestive Torre Ruffa, teatro di una triste e leggendaria vicenda. Rapita dai Saraceni, la bella e fedele vedova Donna Canfora si sarebbe gettata dalla loro nave al grido: “Le donne di questa terra preferiscono la morte al disonore!”. Proprio per onorarne il sacrificio il mare cangia colore ad ogni ora ad assumere tutte le sfumature dell’azzurro velo che ne cingeva il capo, mentre l’eco delle onde che s’infrangono contro la battigia altro non sarebbe che lo struggente lamento con cui Donna Canfora saluta ogni notte la sua amata terra.
Pagine piene d’amore furono invece dedicate a questa terra dal veneto Giuseppe Berto che scelse Capo Vaticano per dimora e definì questo tratto di litorale “Costabella”, molto contribuendo allo sviluppo turistico della zona. Un tempo arido e selvaggio, oggi il promontorio è un giardino incantevole, un affaccio naturale sul mare con una delle viste più sorprendenti sulle isole Eolie.

Il tesoro di Alarico


Cupi a notte canti suonano
da Cosenza su’l Busento,
cupo il fiume li rimormora
dal suo gorgo sonnolento.
Su e giù pe ‘l fiume passano
e ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono
il gran morto di lor gente
(da “La tomba nel Busento” tradotta in italiano da Giosuè Carducci,
dalla poesia di August Graf Von Platen)

Narra le leggenda che, nel 410 d.c., l’esercito dei Goti guidati dal re Alarico, dopo aver saccheggiato indisturbato Roma, si mosse verso il sud Italia con l’intento di attraversare lo Stretto e spingersi verso l’Africa. Ma alle porte della città di Cosenza, la malaria colse improvvisamente il capo dei barbari che si congedò presto dal mondo e dai suoi soldati.
I Goti piansero sinceramente la sua scomparsa e decisero di rendergli onore secondo l’antica usanza che voleva che un condottiero venisse sepolto con il suo cavallo, l’armatura e i tesori raccolti nelle azioni di guerra. Non potendo permettere che l’immenso bottino frutto del sacco di Roma venisse ritrovato e che la tomba del loro re rimanesse in balia delle orde di predatori, i guerrieri Goti decisero di seppellire Alarico nel Busento, deviandone il corso. Utilizzarono centinaia fra schiavi e prigionieri per scavare la tomba del loro re in mezzo all’alveo del fiume e lo seppellirono nel suo grembo, abbigliato con l’armatura da parata, insieme al suo destriero e agli inestimabili ori e gioielli di Roma. Dopo di che, ricondussero le acque del fiume nel loro letto naturale e uccisero tutti gli schiavi e i prigionieri, in modo che nessun protagonista dell’ardua impresa potesse sopravvivere e far trapelare il segreto del sepolcro. Così, il luogo esatto della tomba di Alarico rimase per sempre un mistero e del leggendario tesoro nascosto tra le acque del Busento si favoleggiò per secoli, ispirando i versi di Dumas, Carducci e dei più grandi vati e dando origine ad una febbre che colpì, a più riprese, intellettuali, studiosi, politici e gente comune di tutti i tempi. Addirittura i Nazisti con Himmler si recarono qui alla ricerca del tesoro, senza ovviamente trovare nulla. Vi sono in ogni caso molte altre leggende che si sono intrecciate a quella principale. Fonti storiche ci dicono che nell’ XI sec Eremitani di Sant’ Agostino monaci Calabresi capeggiati dal vescovo Arnolfo II di San Lucido provenienti da San Martino di Pietrafitta trovano la tomba di Alarico e trovano dei documenti che avrebbero avuto a che fare la figura Gesù, e la Decima Legio Fretensis per intenderci la legione di cui faceva parte Longino, colui il quale trafisse il costato di Gesù sulla croce e il tempio di Salomone. Nel 1070 infatti si ha notizia di un gruppo di monaci calabresi nelle Ardenne ad Orval, esistono documenti storici che attestano il fatto. Ricevettero accoglienza e protezione oltre ad un vasto terreno sul quale venne costruita un abbazia. Quindi Storia o Leggenda? A queste latitudini le idee sono abbastanza chiare.

U Lupo Minaru

Fra tutti i popoli, contrariamente a quanto affermano oggi gli etologi, l’immagine del lupo è stata sempre quella di una bestia feroce e aggressiva.
Di questa triste fama approfittavano gli adulti per farci stare buoni e conciliarci il sonno durante la nostra infanzia.
L’idea che il lupo dovesse guidare le anime dei defunti nell’Oltretomba si perde nella notte dei tempi. Essendo infatti più abile e più forte dell’uomo, l’animale rivestiva un ruolo totemico e nei rituali sciamanici veniva imitato per propiziarsi lo spirito.
“Lykaion”, territorio del lupo, era invece ad Atene il bosco sacro attorno al tempio di Apollo dove il filosofo Aristotele teneva le sue lezioni, tanto che il termine “liceo” significò un luogo di sapere.
La “licantropìa” (dal greco “lykos”, lupo e “ànthropos”, uomo) è un disturbo mentale delirante di tipo somatico per cui i malati, solitamente isterici, si credono trasformati in belve.
Nelle leggende del nostro continente l’anomalia si collegava al mito del “lupo mannaro” e i soggetti colpiti vagavano di notte, urlando come detti animali.
Si poteva divenire lupi mannari per una maledizione scagliata da una persona timorata di Dio in seguito ad un cattivo comportamento di un individuo, per stregoneria, per infezione licantropica o vampirica, per un patto col demonio o per altri diversi motivi. La luna piena, che ha sempre esercitato una forte azione nella fervida fantasia dei romanzieri ed in quella popolare, col suo fascino singolare conduceva l’individuo alla violenza. La metamorfosi animalesca, il nostro satellite, i luoghi di sepoltura avvicinavano sempre più la mentalità degli avi a quella delle culture primitive.
L’influsso negativo venne anche descritto da noti moralisti, nonché storici greci e latini come Plutarco e Plinio il Vecchio.
Gli studiosi hanno riscontrato un’incidenza di crimini durante il plenilunio, molto più elevata rispetto agli altri periodi.
Essendo il corpo composto per circa due terzi di acqua, la luna determina l’incremento delle “onde di marea umana”.
Ai poteri malefici e magici del satellite si collega la licantropìa, già nota in Babilonia dove il re in persona, Nabucodonosor, si riteneva d’essere un lupo.
Anche presso i Romani, Gaio Petronio Arbitro nel “Satyricon” racconta di Nicerote che persuade un suo ospite ad accompagnarlo nel viaggio:
«Si trattava di un soldato coraggioso come un leone. Ci avviammo al canto del gallo: splendeva la luna che pareva giorno. Ma, arrivati a certe tombe, il mio uomo si nasconde a fare i suoi bisogni tra le pietre, mentre io continuo a camminare canticchiando e mi metto a contarle. Mi volto e che ti vedo? Il mio compagno si spogliava e buttava le vesti sul ciglio della strada. Mi sentii venir meno il respiro e cominciai a sudar freddo. Sennonché quello si mette a inzuppare di orina le vesti e divenne d’improvviso un lupo».
Numerosi episodi del genere vengono riportati da noti scrittori e da studiosi.
Nel romanzo postumo dello spagnolo Miguel de Cervantes, “Persiles y Sigismunda”, che nella dedica al conte di Lemos del 19 aprile 1916 reca la frase:
«Con il piede già nella staffa, nell’angoscia della morte…», s’incontrano isole di
lupi mannari e di streghe che si mutano in lupe onde allevare la prole.
Per secoli i “lupi mannari” e le “versiere” (donne malvagie e scarmigliate) costituirono il terrore delle foreste, poiché si riteneva che vi fosse nei medesimi l’influsso demoniaco.
Il diavolo poteva trasformare in lupi famelici ogni stregone.
Lo attestano Strabone, Dionisio Afro, Varrone e tanti altri.
Scrive Virgilio nelle “Egloghe”:

“His ego saepe lupum fieri et se condere silvis
Moerim, saepe animas imis excire sepulchris
atque satas alio vidi traducere messis”.

(“L’ho visto spesso trasformarsi in lupo e nascondersi nel bosco di Moerim, far uscire spesso le anime da profondi sepolcri e trasportare messi ben piantate altrove”).
L’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, figlio di Carlo IV, che conosciamo per aver costretto l’antipapa Giovanni XIII a convocare il Concilio di Costanza, fece discutere in sua presenza il problema dei lupi mannari. Fu stabilito che la trasformazione di questi animali costituiva un fatto positivo e qualunque scroccone poteva spacciarsi per una versiera onde mettere in fuga la gente.
Si riteneva che gli stregoni portassero, fra carne e pelle, pelo di lupo.
Al dire di Fincel, un giorno si prese al laccio un lupo mannaro che correva per le vie di Padova. Gli furono amputate le zampe e subito la bestia riprese le sembianze umane, ma con braccia e piedi tagliati.

Si legge ancora nel “Dizionario infernale”:

«L’anno 1588, in un villaggio distante due leghe da Apchon, nelle montagne d’Alvernia, un gentiluomo, trovandosi verso sera alla finestra, vide un cacciatore di sua conoscenza e lo pregò di recargli la cacciagione. Il cacciatore glielo promise, ed essendosi avanzato nella pianura, videsi un grosso lupo che gli veniva incontro. Egli prese la mira e gli vibrò un colpo che andò fallito. Il lupo gli si scagliò addosso e lo assalì vivamente. Ma l’altro difendendosi, gli tagliò una zampa col suo coltello da caccia, e il lupo storpiato si mise in fuga, né si lasciò più vedere. Siccome avvicinavasi la notte, il cacciatore giunse alla casa del suo amico, il quale gli domandò se aveva fatta buona caccia. Egli trasse la zampa che aveva tagliata al preteso lupo: ma fu meravigliatissimo di vedere quella zampa convertita in mano di donna, e ad un dito stava un anello d’oro, che il gentiluomo conobbe appartenere a sua moglie. Egli andò tosto a trovarla, e la vide seduta presso il fuoco che nascondeva il braccio destro sotto il grembiule. Siccome ricusava di farlo vedere, egli le mostrò la mano che il cacciatore aveva recata, e l’infelice così scoperta, confessò che ella lo aveva assalito in forma di lupo mannaro. Il marito sdegnato la pose in mano alla giustizia che la fece dare alle fiamme».
Un episodio riguardante la “licantropa di Nicastro”, venne pubblicato nel 1883 a Londra nella guida turistica: “Cities of Southern Italy and Sicily”.
Il Conte di Masano, appassionato di caccia, aveva sposato la bella figlia del Barone di Arena. Possedendo costui una vasta riserva, per tenere lontani i bracconieri la faceva controllare dai suoi fidati guardiani.
Uno di questi ultimi, tornando dal padrone, raccontò che un compagno durante la notte era stato aggredito da un branco di lupi e che per difendersi aveva ingaggiato un’aspra lotta. Il malcapitato, col coltello, era riuscito ad amputare una zampa ad uno di quei feroci animali. Ma quale non fu la sua sorpresa allorquando, nell’estrarre dal tascapane la zampa, la vide trasformata in una mano di donna che dall’anello il Conte riconobbe essere quella della sua consorte? Effettivamente, chiamata, la signora aveva un braccio fasciato; tolte le bende apparve il moncherino sanguinante. Per punizione la nobile donna, prima fu rinchiusa nel castello e poi venne condannata a morte.
Nei racconti, chiaramente, si lavorava molto di fantasia.
Pure nella nostra società agricola pastorale del passato s’immaginava che nelle notti di plenilunio il lupo mannaro (“marcalupu”, “lupu minàriu” o “lupupampinu”) andasse in giro urlando e depredando, alla ricerca di sorgenti d’acqua per sbrodolarsi. I peli diventavano ispidi, le unghie gli si allungavano e poteva sbranare chiunque incontrasse, compresi amici e familiari.

In Calabria i lupi mannari sono chiamati lupu pampanu o marcalupu, sgozzano pecore e capre senza divorarle, solo perché amano il sangue caldo. Sono detti anche lupi minariu e così sono citati in un racconto popolare calabrese, noto come “la prima notte di nozze”: presso San Giorgio Morgeto (RC), una ragazza aveva sposato un uomo, senza sapere che fosse un lupo. Durante la prima notte di nozze, comprendendo che stava per avere una crisi, l’uomo si allontanò, dicendo alla moglie di non venirlo a cercare, ma lei lo seguì ugualmente, trovandolo in piena crisi e venendo sbranata. Quando rinvenne, dal dispiacere per la sua morte, si uccise anch’egli.

Bermani ci ricorda che a Catanzaro si riteneva che il licantropo girasse accompagnato da cani:

“Anche a Satriano (Catanzaro) si riteneva […] che il lupo fosse seguito da cani: […] A volte di notte, dentro la casa, fuori si sentivano degli ululati, però c’erano cani, si sentivano cani abbaiare, ma non uno, dieci o venti cani. E di solito si pensa che quando c’è sto lupo manaro è contornato da venti o trenta cani che gli stanno dietro.”

In “Storia e Folklore calabrese”, Domenico Caruso cita interessanti esempi locali:

“a S. Martino di Taurianova (RC) si consigliava di pungere con una canna appuntita, da un posto sicuro (possibilmente dall’alto), il licantropo che, alla prima perdita di sangue, faceva ritorno alla dimensione umana. In altre località della Piana di Gioia Tauro, il lupo mannaro, appena uscito di casa, custodiva gli abiti in un posto segreto per scorrazzare nei campi e alla periferia del paese. Prima dell’alba, poi, riprendeva i vestiti e raspava alla sua porta, ma soltanto al terzo tentativo i familiari potevano aprirgli. Anzi, in qualche abitazione si praticava un foro nell’uscio per essere certi dell’avvenuta trasformazione del proprio congiunto da lupo a uomo. Il segno di croce incuteva paura al licantropo che evitava, perciò, di attraversare ogni quadrivio. Lo stesso motivo induceva i nostri antenati a tracciare a Natale con dei carboni accesi, per tre notti consecutive, una croce sotto la pianta dei piedi dei piccoli affinché venisse loro scongiurato da grandi l’eventuale grave disturbo.”
Non possono mancare le vicende di santi che compiono miracoli. Qua abbiamo San Martino che, una notte, ferma un giovane che aveva la sfortuna di diventare lupo mannaro da mezzanotte all’alba, vagando per il paese e la campagna, spaventando tutti. Il santo gli fa tre segni della croce, intimandolo di uscire dal corpo del cristiano. Dopo le sue parole, un terremoto scuote la terra e il demonio esce dal corpo del ragazzo, la cui anima innocente è adesso salva.

Fonti: Scoprilacalabria.com
Calabriaonline.com
ascienzairiggiu.com
Portalecalabria.com

Giuseppe Oliva – Team Mistery Hunters

Pentagono e Ufo: La Nuova era dell’Ufologia

Sono passati solo pochi giorni, dall’annuncio del Pentagono, ma attraverso tutti i canali, dai social, al web, TV, e carta stampata la notizia è rimbalzata in tutti i continenti raggiungendo milioni di persone, se non miliardi. Notizia incredibile per la massa, ordinaria per gli addetti ai lavori, che però la vedono come una piccola vittoria, da prendere con le pinze invece per gli scettici, che restano però interdetti e ammutoliti, finalmente la verità per i complottisti. Diverse reazioni in diversi ambienti, ma quale è il reale valore di questa notizia? Quale è la reazione più appropriata? Quale è il significato di questa apertura?

Questo evento possiamo dire storico mi ha spinto ad alcune riflessioni un pò diverse da quelle che leggo in giro. Per quanto riguarda noi generazione X Files, ma anche per chi era vicino al tema negli anni 80 e 90, per tutti quelli quindi da sempre con il naso all’insù piuttosto che su uno smartphone, è una luce in fondo ad un tunnel zeppo di depistaggi e menzogne perpetrate per anni. Sia chiaro non è stato detto che a breve faremo parte di Star Wars, ma il lento e graduale rilascio di informazioni non è altro che un acclimatamento ad una situazione prossima all’essere nota. Per capire però il reale valore dell’affermazione bisogna inserirla in un contesto più ampio e più lungo inteso come tempo. Quello che è evidente è che si è passati dalla totale negazione e addirittura avversione in alcuni casi, ad una conferma seppur soft di quello che in molti sostengono da anni. La verità passa per tre gradini: prima viene derisa e ridicolizzata, poi viene ferocemente contrastata, infine viene accettata come palese ovvietà”. Così affermava tempo fa Arthur Schopenhauer. E questo tema ne è la prova provata.

Chi tra gli addetti ai lavori non è stato almeno una volta deriso a riguardo? Battute del tipo a ecco l’ufo abbinato alla propria presenza. Pazienza, purtroppo l’ufologia per molti è solo la lucina in cielo e allora forse si la cosa fa sorridere, ma se si approfondisce e se si “studia” ci si accorge di molte altre cose, che alla fine rendono le lucine  l’ultimo step. Quindi per dovere di cronaca, un budget di 22 milioni di dollari dal 2007 al 2012 da parte del Dipartimento della Difesa, per studiare il fenomeno UFO e prima del 2007? E oggi? Possibile che dal giorno dopo Roswell fino al 2007 a nessuno è importato degli “alieni”? Eppure di programmi a tal proposito ne sono stati fatti molti in questi anni (Project Blu Book, Majestic 12) per citarne alcuni, quindi cosa è successo nel 2007 per avviare questo programma? In realtà nulla, è tutto parte di una partita a scacchi tra il pastore e le sue pecore dove di tanto in tanto viene impartita una nuova regola del gioco cosicchè  arriverà il giorno che la pecora saprà come giocare, ma non necessariamente saprà vincere. Non è un caso che anche la NASA ha iniziato un cambio di rotta, ufficialmente grazie a nuovi strumenti tecnologici, con i quali si è arrivati alla scoperta dapprima di Trappist1 

adesso Kepler 90 un sistema solare simile al nostro, 

e grazie all’intelligenza artificiale di Google si è riusciti a monitorare circa 35000 pianeti inserendoli in diverse fasce che ci consentono di verificare eventuali analogie con il nostro e quindi con esse la possibilità che vi siano forme di vita intelligente. Tutto questo per rendere meno traumatica e meno inaspettata possibile una eventuale notizia di scoperta di forme di vita, che state certi saranno prima sotto forma di microbi, per poi nel tempo arrivare a forme di vita intelligente. La scoperta di una “Ragnatela Cosmica” composta da gas, che collega fra loro le galassie  è stata osservata per la prima volta, grazie alla luce diffusa da un quasar distante che ha illuminato i filamenti, sta spingendo anche grazie a nuovi orizzonti della fisica a interpretare diversamente quello che ci circonda e di conseguenza a “vedere” con occhio nuovo tutto quello che prima era considerato fantascienza o leggende vedi i Nativi Americani e la loro ragnatela cosmica e l’unione con il tutto, che ultimamente sembra essere tornato di moda e studiato con maggiore attenzione. Questo unito a diverse teorie sul suono e su alcune teorie sulle ottave e ad alcuni messaggi che in esse potrebbero essere nascosti, può portare anche a nuove intuizioni sugli spostamenti e sui viaggi interstellari. Parliamo ad esempio della scoperta tutta Italiana di cunicoli che permettono di viaggiare nello spazio e nel tempo, i cosiddetti wormhole, adesso possono essere costruiti in laboratorio: sebbene su una scala piccolissima, dimostrano per la prima volta che attraversare il tempo è possibile e, in attesa di futuri viaggi intergalattici, promettono di rendere più potenti gli attuali dispositivi basati sulle nanotecnologie. Il prototipo, descritto online sul sito ArXiv e in via di pubblicazione sull’International Journal of Modern Physics D, darà luogo ad un esperimento condotto in Italia, presso l’università di Napoli Federico II. “Abbiamo realizzato il prototipo”, ha detto il coordinatore del gruppo internazionale autore della ricerca, il fisico Salvatore Capozziello, dell’Università Federico II di Napoli, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e presidente delle Società Italiana di Relatività Generale e Fisica della Gravitazione (Sigrav). E’ stato ottenuto collegando due foglietti del materiale più sottile del mondo, il grafene, con legami molecolari e un nanotubo. La struttura ottenuta è neutra e stabile, nel senso che al suo interno non entra nulla e nulla fuoriesce, ma quando si introducono dei difetti vengono generate correnti in entrata e in uscita. “Spostandoci su dimensioni cosmiche, potremmo considerare un osservatore che con la sua navetta si avvicina a un wormhole come un elemento capace di perturbare la struttura: in questo caso  sarebbe possibile passare da una parte all’altra del cunicolo spaziotemporale, così come trasmettere segnali da una parte all’altra”.

 

Sembrerebbero apparentemente notizie una lontana dall’altra, invece a parer mio sono puntate diverse di una sola notizia.

Facciamo un gioco quale era uno dei principali problemi che gli Ufologi dovevano affrontare quando si interfacciavano ai cosiddetti detrattori? La difficoltà tecnologica. SI è partiti nella migliore delle ipotesi dall’asserire che sicuramente c’è vita nell’universo altrimenti sarebbe solo uno spreco di spazio, ma considerate le distanze è impossibile che eventuali civiltà evolute possano raggiungerci dato che per farlo servirebbe una tecnologia al momento inesistente.  La somma di queste scoperte anche se non sono un fisico mi rende consapevole del messaggio che in realtà si vuole lanciare, esistono miliardi di pianeti che potrebbero essere simili al nostro e potrebbero ospitare la vita, prima non lo sapevamo adesso abbiamo la tecnologia per scovarli e miglioreremo sempre più fino a quando non troveremo quello che stiamo cercando. Si ma sono così distanti come raggiungerli sappiamo tutti che i viaggi del tempo sono solo teoria, ma guarda caso forse esiste una scappatoia che certamente và migliorata sperimentata, ma chi ci dice che non sia già stato fatto? D’altronde gli UFO non esistevano giusto?  Poi esistono oggetti strani nella galassia vedi l’asteroide che sembrerebbe una navicella, e dopo aver provato a contattarlo non abbiamo avuto risposta. Si tratta di una semplice pietra, ma prima o poi non lo sarà più.  Da profano una domanda che mi porrei al cospetto di tutto ciò sarebbe ma perchè spendere milioni di dollari vedi il SETI, o il Pentagono, inviare sonde sfruttare nuova tecnologia per cercare qualcosa che non esiste? Perchè sostenere proiezioni cinematografiche orientate se tutto fosse pura fantasia? La risposta in realtà la sappiamo tutti o almeno la sapevamo in pochi, forse ora inizia ad arrivare anche laddove non batte mai il sole. Il meccanismo innescato di disclosure a rilascio graduale ha subito una notevole accelerata, il perchè non è chiaro, certamente non cadremo nella tentazione (per dirla alla Bergoglio) di intravedere in tutto ciò apocalittici tempi o invasioni alla H. Wells. Più semplicemente forse, è giunto il momento di evolversi allo step successivo e magari con dei tempi più maturi alla conoscenza di qualcosa di straordinario. Che sia giunta l’era dello spirito profetizzata da Gioacchino da Fiore, e che l’umanità si stia evolvendo in altro e quindi sia più pronta a interagire con menti superiori? Stando a ciò che mi circonda avrei dei grossi dubbi a riguardo, anzi credo che a tal proposito ci si stia regredendo all’era dell’ignoranza, ma la speranza in qualcosa di nuovo è sempre l’ultima a morire. Che si aspetti il Messia, o il Nirvana, o forme di vita che possano regalarci la conoscenza per risolvere i nostri problemi cambia poco, siamo sempre con le braccia al cielo in cerca di qualcuno che ci dia una mano e risolva i nostri problemi. Ritengo invece che se si vorrà guardare negli occhi questi probabili “nuovi pastori” sarà necessario evolversi dallo status di pecore, altrimenti cambieranno i nomi ma non il risultato, e resteranno sempre in pochi a conoscere la verità. Personalmente non ci vedo nulla di negativo in tutto ciò e da sempre non ho mai capito il motivo di tanta segretezza per il bene della massa. Siamo ormai abituati a vedere giornalmente barconi con bambini che affondano, persone uccise per strada ad ascoltare le notizie più allucinanti, stando seduti a tavola mentre mangiamo un piatto di pasta, alla fine non credo che la famosa frase “non siamo soli” porterebbe tanta devastazione così come in molti temono, semmai saranno altri a doverla temere non certo la massa. Credo per concludere, che sia giunto il momento di guardare con attenzione all’evolversi dei tempi e prepararsi per capire le possibilità che si prospetteranno davanti nuovi mondi, nessuno verrà gratuitamente a fare miracoli, ma se sapremo riconoscere il loro linguaggio non saremo stranieri in una terra sconosciuta come è per noi attualmente l’universo, ma abitanti di quartieri diversi, ma sempre parte di una stessa città.  Se invece resteremo chiusi ancora dietro l’indifferenza, l’emarginazione culturale e mentale, nascosti da drappi di ignoranza e poco propensi al futuro, la verità resterà nelle mani di pochi esattamente come è sempre stato. Ragion per cui prendiamo questa notizia per quella che realmente dovrebbe essere un’apertura dell’elitè. Il pastore ha aperto seppur non completamente il recinto tu che farai?

 

Giuseppe Oliva – Team Mistery Hunters

 

 

Vuoto Quantico: Un Ritorno al Futuro

 

Il concetto di vuoto, sia se inteso come Nulla o come Tutto, si ritrova,  al centro delle più importanti questioni scientifiche e filosofiche di tutti i tempi. Rappresenta oggi il fondamento della fisica e della cosmologia moderna e la sua effettiva comprensione la chiave ultima per l’interpretazione della realtà. “La natura aborrisce il vuoto”  (natura abhorret a vacuo): questa affermazione, risalente ai filosofi greci oltre 2500 anni fa,(Aristotele) dimostra che il problema del vuoto, nelle pur diverse e spesso contraddittorie accezioni che lo hanno caratterizzato nella storia del pensiero umano, ha costituito e costituisce ancora uno degli argomenti centrali di discussione e di dibattito scientifico e filosofico.
Lungi dal potere essere considerata come una questione puramente accademica, la reale natura del vuoto fisico è oggi alla base della cosmologia moderna e costituisce la chiave per la comprensione dei fondamenti della Fisica stessa.


Il concetto di un vuoto assoluto in cui nulla esiste, oltre a indurre una sensazione di disagio, appare artificioso se non addirittura privo di senso.
Ad esempio, come farebbero due corpi materiali a rimanere separati dal vuoto assoluto? Quale significato avrebbe lo spazio? Se è vero che il nostro Universo si sta espandendo in cosa si espande lo spazio? Queste sono solo alcune delle innumerevoli domande alle quali l’idea di vuoto conduce.
Il concetto di vuoto ha subito diverse modificazioni e interpretazioni nel corso dei secoli.
Già nell’antica Grecia, l’interpretazione del concetto di vuoto divideva profondamente i pensatori: da un lato la corrente di pensiero facente capo a Parmenide, successivamente fatta propria da Aristotele, secondo la quale lo spazio vuoto tra gli oggetti materiali risultava in realtà riempito da un mezzo invisibile, dall’altro quella “atomistica” che faceva capo a Democrito e Leucippo secondo la quale la realtà ultima era costituita da particelle materiali invisibili e indivisibili (agli atomi appunto) che esistono nel vuoto assoluto e le cui diverse combinazioni davano origine alla materia.
Tale dibattito, all’epoca ancora sostanzialmente di natura metafisica, vide sostanzialmente il contrapporsi di tali posizioni antitetiche (la negazione del vuoto da un lato e la sua esistenza quale “contenitore” della materia dell’altro) per tutto il Medioevo.

Horror vacui è una locuzione latina che significa letteralmente terrore del vuoto, concetto conosciuto in psicologia come cenofobia. Nell’arte definisce l’atto di riempire completamente l’intera superficie di un’opera con dei particolari finemente dettagliati. Analogo uso conosce nella decorazione, nell’ornamentazione e nell’arredamento. Dall’Arte Bizantina all’Arte Gotica basti pensare alla Sagrada Familia di Gaudì a Barcellona, in particolare nella facciata della Natività, fu così ossessivamente piena: perché dal Gotico, oltre al verticalismo, Gaudì ha colto tutta l’esuberanza decorativa! Fino a  Jackson Pollock (1912-1956) con le sue tele ottenute schizzando il colore fino a saturarne la superficie…

L’intreccio   di   linee,  tracciate  da  Pollock   sulla   tela, rifletteva  la  caratteristica  fondamentale  del  frattale, osservò Richard Taylor,  la “autosomiglianza”: in un oggetto frattale, ogni più piccola parte è simile, ma non necessariamente identica, alle forme più grandi della stessa struttura.  Questa   autosomiglianza, a   livelli   diversi,   è   una   delle caratteristiche  fondamentali  dei frattali.I  frattali  sono forme che sono diventate efficaci  modelli  per indagini  di ogni tipo, fondamentali per lo studio  della  teoria del  caos, strumenti indispensabili per il fisico, l’economista, il medico o il sociologo. Ma ai frattali anche gli artisti, non con l’analisi del matematico ma con l’intuizione, dimostrando ancora  una volta quale profondo legame esista tra matematica, arte e natura.

Nikola Tesla nella prima metà del XX secolo aveva individuando una misteriosa sostanza nell’“etere”.  Il “caso”  ha voluto che quando questo aspetto del cosmo è emerso alla percezione di Tesla, il famoso esperimento di Michelson Morley sulla velocità della luce, relativa al presunto “vento d’etere”, e la prestigiosa teoria della relatività di Einstein finissero per monopolizzare l’attenzione generale degli studiosi dell’epoca, tutti d’accordo nel negare l’esistenza di questo “elemento”, mettendo così fuori causa questa scoperta. E la ragione è semplice. La Scienza dell’Uno è la stessa che si ripete quando in ambito religioso si tirano in campo le vecchie e insindacabili scritture.

 


I contemporanei fondano i loro studi e le loro analisi su quanto è stato già scritto sui libri di testo o sugli aspetti tecnici o sacri dei loro predecessori, temendo il giudizio collegiale dei colleghi del loro tempo.  L’obiettivo primario che si pongono è di cercarne il consenso nel quadro del paradigma dominante che per logica – non si sa bene perché – deve ispirarsi al modello di un continuum evolutivo della tradizione scientifica classica.  Il vuoto quantico di Nikola Tesla invece, rompendo con la tradizione classica e con l’orientamento generale del meanstream accademico del suo tempo, e soprattutto con gli scienziati canonici del nostro tempo, ritenne che questa sostanza, appena individuata, dovesse consistere di un’oceano di energia intelligente che denominò con l’espressione “energia radiante”.

Naturalmente, in assenza del solito modello matematico, fu  facile per i benpensanti della fisica tradizionalista confutare e giudicare altamente opinabili le affermazioni in merito ai suoi più concreti esperimenti che avevano il pregio di precedere il formalismo matematico, anticipando i risultati e le soluzioni emergenti da tutta quanta la materia scaturita dalle sue osservazioni pratiche.  Senza contare poi che tra Tesla e i suoi detrattori,  esisteva anche un profondo equivoco scientifico.  Per “etere” i fisici del tempo intendevano quel mezzo, attraverso il quale avrebbero dovuto trovarsi a vibrare le onde di un campo elettromagnetico. Ma questa concezione di etere era cosa ben diversa da quella che intendeva Tesla, per il quale l’etere non aveva nulla a che fare con il campo elettromagnetico e con le sue equazioni di Maxwell, bensì con un campo completamente diverso, formato dal “vuoto quantistico”, un vacuo, un velo impalpabile, un flusso evanescente di energie sottilissime.

In questo modo era inevitabile che nel pensiero fisico-matematico,  nel corso della storia della ricerca scientifica si abbattesse uno tzunami che spazzasse via quel binario obbligato, dettato dalla scienza ufficiale, al di fuori del quale qualunque altro percorso, dichiarato insensato, non poteva consentire vie praticabili. L’imbarazzo della scienza moderna oggi sta tutto qui.  È estremamente difficile per un fisico attuale, e ancor di più per una comunità di fisici tenuta insieme da un ferreo consenso, dover ammettere di aver sbagliato tutto e di aver costruito un edificio potente, imponente e solido sul terreno sbagliato. Ne consegue che esso finisce per essere un edificio “artefatto”, non un edificio realistico.

Fritjof Capra, disse: “La scienza attuale si preoccupa più di costruire mappe che non di fotografare il territorio”.  Ma la realtà empirica è il territorio, mentre la mappa è spesso una realtà di comodo, come troppo spesso lo sono certi dati o parametri utili per far tornare i conti delle equazioni, come architettura di base dell’attuale edificio della fisica.  Oggi la fisica si trova  ad una svolta e a fare i conti con un vuoto senza massa, ma dotato continuamente di “energia virtuale intelligente”.  La scoperta della natura di questo tipo di vuoto, se da un lato affascina le menti dei fisici più all’avanguardia, da un altro lato li preoccupa, perché essi temono che l’individuazione delle proprietà del vuoto possano far crollare completamente l’attuale edificio della fisica, non per il modo in cui esso è costruito in sé, ma per il fatto che esso potrebbe presentarsi come “un castello in aria”, completamente avulso dalla realtà più autentica del cosmo. n poche parole, ciò che avviene in natura non è ciò che è realmente, essendo la base di tutto situata in un regno; un info-regno che si trova fuori dal nostro normale dominio spazio-temporale e lontano dalle nostre normali percezioni sensoriali. Insensibilmente, quasi inevitabilmente la scienza del mondo occidentale non sembra accorgersi, forse perché volutamente preferisce ignorarlo,  ma il suo concetto di realtà sta lentamente scivolando verso il concetto di Maya, già millenni fa contemplato dalle religioni e filosofie orientali.  Lo stesso vuoto, la matrice da cui emerge la realtà della materia e dell’energia, non sarebbe altro che l’eco moderno del “Prana” annunciato millenni e millenni fa dai sacri testi dei Veda e dai Vedanta delle scritture orientali. In questo contesto, nell’ambito della realtà più autentica del cosmo e della moderna teoria di campo (scalare), moltissimi fenomeni definiti immaginari o fantasiosi, quando non addirittura impossibili a verificarsi, possono accadere: velocità superiori a quella della luce (superluminali); l’esistenza di altri universi e di altre dimensioni; fenomeni caratterizzati dalla “non località”, come già dimostrato da Bell, sperimentato da Alan Aspect e documentato dagli studi quantistici del grande fisico britannico David Bohm: tutti aspetti del reale che comportano l’esistenza di un Universo interconnesso nell’ambito di un grande “ordine implicito”, compresa la possibilità di alterare lo stesso campo gravitazionale, e perfino i fenomeni paranormali e le manifestazioni degli Ufo.
Certamente Tesla, essendo ispirato dalle concezioni e dalle letture dei testi orientali, fu uno dei primi, se non il primo, nell’ambito della cultura del mondo occidentale, a percepire l’esistenza dell’etere e delle sue proprietà.

La Teoria quantistica dei campi ci rivela che neanche un vuoto ideale, con una pressione misurata zero, è veramente vuoto. Infatti nel vuoto sono presenti fluttuazioni quanto-meccaniche che lo rendono un ribollire di coppie di particelle virtuali che nascono e si annichilano in continuazione. Tale fenomeno quantistico potrebbe essere responsabile del valore osservato della costante cosmologica.  Secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, energia e tempo, al pari di altre grandezze come posizione e velocità, non possono essere misurate con un’accuratezza infinita. Se lo spazio vuoto non avesse alcuna forma di energia, una particella potrebbe avere velocità ed energia entrambe nulle, con un errore pari a zero che violerebbe il principio di Heisenberg: ciò porta a concludere per l’esistenza di fluttuazioni quantistiche nello spazio vuoto, che generano una quantità minima di indeterminazione. Il vuoto è quindi pensato come un equilibrio dinamico di particelle di materia e di antimateria in continua creazione ed annichilazione.

Le particelle virtuali del vuoto quantistico, caratterizzate dal consueto binomio onda-particella della meccanica quantistica, in uno spazio infinitamente esteso hanno lunghezza d’onda qualsiasi. Al contrario in uno spazio limitato, ad esempio fra due pareti, esisteranno solo particelle con lunghezze d’onda che sono sottomultipli interi della distanza fra le pareti stesse, con un’energia inferiore di quella all’esterno. Si potrà perciò misurare una forza-pressione che tende ad avvicinare le pareti (effetto Casimir).
Le particelle sono dette virtuali perché normalmente non producono effetti fisici; in uno spazio limitato, tuttavia, vi sono delle grandezze misurabili.
Un altro motivo per l’energia del vuoto è che le pareti della camera a vuoto emettono luce in forma di radiazione del corpo nero: luce visibile se sono alla temperatura di migliaia di gradi, luce infrarossa se più fredde. Questa “zuppa” di fotoni sarà in equilibrio termodinamico con le pareti, e si può dire di conseguenza che il vuoto ha una particolare temperatura.

A tal proposito il Filosofo Cosentino Bernardino Telesio nei suoi concetti fu un precursore della scienza moderna. La sua filosofia può essere ben riscontrata nella sua opera più importante dal titolo La natura secondo i propri principi. Egli cerca di interpretare la natura secondo i principi della natura stessa, cerca cioè di eliminare ogni elemento trascendente. Parte dal presupposto che tutto è materia e che la materia è sottoposto a due forza:

1-      Il caldoche ha sede nel sole e provoca la dilatazione dei corpi
2-      Il freddo: che ha sede nella terra e provoca la contrazione dei corpi
Il divenire quindi è determinato quindi da queste due forze, ma la vita si ha solo quando queste due forze sono in equilibrio. Egli segue la concezione Ilozoistica secondo cui la natura è animata perché sottoposta all’azione delle due forze, quindi tutto è vita. Anche l’uomo viene interpretato come materia sottoposta all’azione delle due forze e dotato di una sensibilità provocata dal calore che si trova sugli strati superficiali della materia e la pervade ( perché leggero e tende verso l’alto ). Quindi anche la conoscenza si basa sulla sensazione provocata dalla contrazione che il soggetto caldo ha al contatto con un oggetto freddo. L’intelletto viene considerato un senso illanguidito che ha la capacità di trattenere le immagini derivate dalla conoscenza sensibile. Anche la morale si basa sul raggiungimento del piacere (= calore ), mentre il dolore è dato dal contatto con un oggetto freddo. L’anima è rappresentata dal calore. La religione non trova posto perchè non si può giustificare con l’azione del caldo e del freddo. L’uomo però aspira ad un bene che non può essere conosciuto coi sensi e che va oltre la ragione, superandone i confini. Il soggetto della vita religiosa non è quindi l’anima naturale ma l’anima superaddita  soprasensibile che è posta da Dio nell’uomo. Quindi pur avendo una concezione materialistica ammettendo il bisogno di qualcosa che vada al di là della ragione si contraddice. 
L’importanza di Telesio è legata all’interpretazione della natura secondo la natura perché getta le basi della scienza moderna, concezione pampsichistica = tutto è sensibililità perché il caldo pervade la materia ed è la causa della sensibilità.

 

 

In Conclusione  in questo “viaggio temporale”  Aristotele e Telesio, i  Rosacroce e Battiato,  Tesla e Bohm hanno dimostrato che esiste un filo invisibile che unisce diverse menti, un filo che percorre il tempo e lo spazio, e che è già legato alla sua meta finale, nostro unico scopo è trovarlo e districarlo dai nodi che noi stessi creiamo.

 

Giuseppe Oliva – Team Mistery Hunters

Sentieri Sincronici ed Inaspettate Scoperte … Intervista senza ospite

La strada che porta alla conoscenza è una strada che passa per dei buoni incontri
(Baruch Spinoza)

Sono ormai alcuni mesi che come Associazione Culturale abbiamo intrapreso una collaborazione con il Dott. Gabriele Montera, autore dei libri Il Calice Svelato e Remedia. Tutto nato da una telefonata nella quale mi si chiedeva di incontrare questo scrittore. Un incontro casuale, caratterizzato dalla freddezza iniziale figlia della poca conoscenza.Eppure in pochissimi minuti tra una battuta e l’altra insieme ad Adele Filice, la persona che ci ha presentato Gabriele, mi sono reso subito conto che si parlava la stessa lingua, si è deciso quindi di realizzare un’intervista sulla nostra web radio Radio MH, ma da subito si è capito che non sarebbe stata una normale intervista e infatti prendendo spunto dal sotto titolo del suo libro “appunti di un insolito viaggio”, abbiamo deciso di intraprenderlo insieme senza una meta precisa con l’unico scopo quello di coinvolgere più viaggiatori possibile.Un po’ come Forrest Gump quando iniziò a correre senza un reale motivo, ma che venne lentamente seguito da migliaia di persone, non sapendo bene né il motivo né la meta. Meta che in realtà inizia ad essere abbastanza chiara per noi, ma per non fare spoiler come si usa dire ora, lasceremo a voi la scoperta. E’ un viaggio particolare e come recitava un vecchio spot, per molti, ma non per tutti. No non è presunzione, semplicemente è un sentiero di libertà che non può percorrere chi non vuole e soprattutto non può “vedere” chi non è disposto a scorgersi verso il nuovo. Da Vinci’s Shadow questo è il palinsesto creato ad hoc per questi lavori dell’amico Montera.

Certo nel calice svelato è Leonardo il protagonista, ma in realtà lo è sempre anche in questo momento ecco perché la sua ombra ha preso vita ecco perché aleggia costantemente nelle nostre azioni.
In molti si chiederanno cosa centra Leonardo da Vinci con Cosenza? E’ stata la prima domanda che ho posto a Gabriele, in realtà molto più di quanto potessi immaginare, ma non pensate ad una presenza fisica pensate piuttosto alla sua ombra appunto ai collegamenti apparentemente nascosti alle persone che possono essere coinvolte in una storia affascinante, che attraversa la fisica quantistica, l’alchimia, la storia, tocca personaggi del calibro di Giordano Bruno, Bernardino Telesio, Gioacchino da Fiore, Jung, non è facile spiegarla ecco perché consigliamo a chi non lo avesse fatto di ascoltare le puntate già registrate, ve ne saranno altre, ma anche altre novità che presto vedrete.

In questo percorso è però doveroso anche soffermarsi su alcuni aspetti non di poco conto anzi. Il Calice svelato non è un libro “inventato”, ma racconta appunto una scoperta e direi che scoperta, probabilmente per la portata della quale non si è dato il giusto valore storico. Parliamo della reale presenza del Santo Graal nell’ultima cena di Leonardo da Vinci. Parliamo di un volto e forse anche di altro. Ma allo stupore che ovviamente coglie tutti quando per la prima volta vengono messi difronte all’evidenza, segue una naturale domanda perché lì?
In effetti mi sono da subito chiesto perché il calice fosse lì, che cosa volesse dire Leonardo, quale era il significato nascosto dietro a questi indizi?
Certo è che un genio come Leonardo non poteva certo limitarsi a dipingere un evento della portata dell’ultima cena, se dell’ultima si tratta, senza dire la sua senza inserire la sua visione il suo messaggio. Durante le interviste con Gabriele abbiamo spaziato parlando di rosacroce e della possibile appartenenza di Leonardo, di Filosofia e quello che ho notato con meraviglia è stato proprio il palesarsi di connessioni sinaptiche che hanno dato vita a continui sbalzi, quasi come se fossero scariche elettriche che di volta in volta illuminavano un angolo buio con nuove idee e nuove connessioni.


Connessioni che inevitabilmente coinvolgono altre persone in un turbinio di eventi sincronici che si aprono a ventaglio d’innanzi i nostri occhi. E ogni singola scelta che facciamo genera nuove connessioni. Questi eventi queste persone apparentemente in modo casuale si stanno incontrando e questo dà vita alla creazione di nuovi sentieri che prima non esistevano. Come se ognuna delle persone coinvolte in questa storia sia un orologio tutti in negozi diversi, ma che segnano la stessa ora in attesa di risuonare all’unisono. Ecco è questa la sensazione che ho in questo momento. Non a caso ogni volta che ci si incontra il battito del tempo diventa più forte, e questo ci sta portando a nuove collaborazioni, che si spera coinvolgeranno la nostra terra. Perché l’ombra di Leonardo non coinvolge solo aspetti della vita del genio toscano, ma grazie al libro Remedia di cui tratteremo nei prossimi mesi in maniera originale, cercheremo di far conoscere posti della nostra città e non solo, guardandoli con occhi nuovi. C’è ad ogni modo un aspetto che non posso non considerare ed è quello della poca volontà di evidenziare nuove forme di pensiero per inserirle nell’offerta culturale artistica della nostra terra, sforzandosi invece di rimanere ancorati a tradizioni superate ormai da secoli. Basti pensare a Gioacchino da Fiore citato da Obama, o a Telesio e appunto a Leonardo che non hanno fatto altro che suggerirci di guardare dentro di noi per avviarci verso una “resurrezione” spirituale che ci allontani dal vecchio modo di pensare. Dei veri rivoluzionari, senza armi, ma con la ,mente.

Detto ciò consiglio a tutti coloro che avranno voglia di intraprendere questo insolito viaggio di iniziare guardando le prime due puntate di Da Vinci’s Shadow, non è un percorso da affrontare con i ritmi moderni, non è un video da guardare di sfuggita sul telefonino, ma da assaporare e magari da affrontare come una ricerca personale, coadiuvandosi con dei libri, perché tra gli obbiettivi non c’è certamente quello di dare delle risposte o certezza, se mai di far nascere in ognuno delle domande e di cercarsi le risposte. Di disinstallare la conoscenza acquisita fino ad ora per far spazio alla nuova.

In milioni hanno visto la mela cadere, ma Newton è stato quello che si è chiesto perché.
(Bernard Baruch)

Giuseppe Oliva – Team Mistery Hunters

RELATORI FANTASTICI E DOVE TROVARLI: TERRA OPERA ALIENA CON MAURO BIGLINO, ROBERTO PINOTTI, PIETRO BUFFA, MARIO CALIGIURI

15896187_1076450055799824_8096458161559271201_o

Sono Passate due settimane dal simposio terra opera aliena, e probabilmente scrivere di quella giornata adesso, non ha molto senso, soprattutto considerando che gli articoli a riguardo sono stati pubblicati nei giorni successivi. Che il video della conferenza viaggia a oltre 100 visite al giorno, che l’intervista agli ospiti stà rilanciando la web radio, e soprattutto si è affievolita l’onda di interesse nei giorni immediatamente successivi.
Ma come tutti i traguardi bramati e alla fine, con sacrificio raggiunti, non si riesce ad assaporarli se non quando il frastuono di ciò che si è fatto è ormai un bisbiglio lontano. Vi è un momento dove bisogna assaporare e ascoltare e un momento dove con tutta calma si possono tirare le somme.

http://www.spreaker.com/user/misteryhunters/speciale-onde-corte-intervista-a-roberto
Trovarsi davanti oltre 300 persone in una sala strapiena che è quasi rimasta tale per oltre 9 ore, andare a parlare di noi e dell’evento sulla TV Nazionale, assistere a delle relazioni di primissimo piano con un filo conduttore, non segnato, ma che ha toccato tutti gli aspetti possibili riguardanti l’Ufologia e non solo, di avere relatori come Mauro Biglino, Roberto Pinotti, Pietro Buffa, Mario Caligiuri, incuriosire decine di persone che decidono di seguirti, vedere i volti dei presenti che dopo 9 ore hanno ancora voglia di fare domande, che significa obbiettivo raggiunto, creare interesse. Può sembrare poco per chi fa questo come mestiere, ma può diventare straordinario se guardi indietro e rivedi un portatile su una lavatrice nel tentativo di creare un blog. La maggior parte dei non addetti ai lavori in tema di presentazione di ciò che riguarda l’associazione Mistery Hunters, mi rivolge costantemente la stesse domande credi agli UFO? A ma quindi gli UFO esistono? Mistery Hunters? Quindi andate a caccia di fantasmi, alieni?

16114256_1419910734686901_119679104798117868_n

16113406_1419906998020608_7263576416924164176_o

16113158_1419913854686589_3812834730943363901_o

16107172_1077479815696848_2802681795217067778_o

15975153_1419906958020612_7388177335097617840_o

15975080_1419910098020298_3834772931518133871_o

15975005_1419903714687603_3527028368437237006_o

Purtroppo non sono una persona molto diplomatica, ma con il tempo ho imparato che c’è sempre una risposta giusta, e devi solo trovare quella che calza perfettamente al tuo interlocutore. E alla fine non rispondo mai anzi faccio io le domande. 1) In oltre settanta anni di Ufologia di migliaia di avvistamenti, di decine di testimoni, foto video, documenti top secret, credi sia possibile che tutto sia riconducibile ad una stronzata? 2) E’ possibile che le evidenze presenti in siti archeologici di tutto il mondo, non solo di civiltà antecedenti alle datazioni accademiche, ma di tecnologie non possibili se si pensa al livello di conoscenza dell’uomo in quel dato periodo possano essere tutte dei falsi? 3) Le moderne ricerche nel campo medico e genetico trovano spesso interazioni con quello che è scritto negli antichi testi, e stanno dimostrando come l’evoluzione “forse” ha dei lati oscuri da chiarire. Vi pare possibile che abbiamo ancora la concezione su alcune teorie del 1858? E’ possibile rimanere ancorati a questo senza provare a spingersi oltre? Alla fine degli anni ’70 non si sapeva dell’esistenza dell’ HCV o epatite C, oggi quasi 40 anni dopo esiste una cura, e così dunque assurdo provare a pensare una evoluzione alternativa dopo quasi 160 anni? Ecco sono tantissime altre le domande che mi capita di fare, ma credo che già solo queste mi fanno capire e ricevere sempre la stessa risposta. No effettivamente sono cose che andrebbero studiate, poi sai spesso sono argomenti tabù che però hanno sempre un fondo di verità, e poi i governi nascondono tutto chissà qual’ è la verità. Comunque prossima volta che vi riunite fammi sapere.
Ma come? Non erano tutte stronzate?

E allora capisci di aver fatto Bingo, nessuno ha la verità in tasca, tanto meno noi, ma è così difficile provare a guardare oltre, a sperimentare, a non essere solo una percentuale da audience televisiva? Noi siamo questo. La lente di Diogene che si guarda intorno, a partire dei luoghi a noi vicini ricchi di storia e di misteri. Siamo quelli che davanti alla foto di un presunto avvistamento riteniamo come prima ipotesi sia un moscone davanti ad uno smart phone, perché solo così si può creare interesse ed eventualmente fare ricerca in modo obbiettivo ed oggettivo. Il convegno Terra: Opera Aliena, in realtà ha cercato indirettamente di dare delle risposte alle domande che molti come me si pongono, una visuale da una diversa prospettiva, vi ricordate il film l’attimo fuggente, quando Robin Williams salì sulla cattedra consigliando di guardare le cose sempre da angolazioni diverse? E’ esattamente quello che è stato fatto, i relatori con le loro intuizioni ci hanno fatto salire sulla cattedra e la fila diventerà sempre più lunga statene certi. Carpe Diem

Giuseppe Oliva – Team Mistery HUnters

Ness of Brodgar

brodgar-1
Il Ring of Brodgar è in il terzo in ordine di grandezza fra i circoli di pietre dell’Inghilterra.
Costruito su un rilievo collinare rivolto a est, oggi sono rimaste soltanto ventisette delle sessanta pietre originarie ed è conosciuto come Ring of Brodgar o Broigar.
Le pietre fanno parte di un monumento a terrapieno, di cui ancora si riescono a intuire il fossato e la sponda, con entrate rivolte a nord-ovest e a sud-est. Il circolo aveva un diametro di circa 110 metri e oggi la pietra più alta misura 4,6 metri. Su quattro pietre vi sono alcune incisioni; in senso orario, dall’entrata di nord-ovest, sono presenti: sulla terza un’iscrizione runica chiamata Bjorn (nome norvegese, forse un visitatore, e il sito porta effettivamente il suo nome “di Bjorn); sulla quarta c’è il simbolo runico delle croce; sull’ottava il simbolo runico dell’incudine e sulla nona pietra un’iscrizione ogamica.
I massi furono incisi molti anni dopo la loro collocazione.
Il sito risale alla prima Età del Bronzo, a circa il 2500 avanti Cristo.
Ring of Brodgar è stato chiamato anche Tempio del Sole, mentre le vicine pietre di Stennes erano chiamate Tempio della Luna, dalla disposizione a falce di luna delle pietre.
“La loro lavorazione è stata impeccabile”, dice Roff Smith, autore di un articolo su Ness of Brodgar in uscita sul numero di agosto del National Geographic. “Le mura imponenti che hanno costruito possono rivaleggiare con quelle romane realizzate 30 secoli più tardi. All’interno delle mura c’erano decine di edifici, tra cui una delle più grandi strutture di tutto il nord Europa preistorico”.

Tra il circolo e il terrapieno esterno c’era un fossato il quale era profondo non meno di 3,6 metri e largo 9. Il profondo fossato avrebbe potuto avere un significato simile a quello delle mura di una cattedrale, dando la sensazione di un vasto spazio raccolto.
137 metri a sud-est si trova infine la Comet Stone che è ritenuta uno dei più precisi indicatori di allineamento nella zona di Brodgar. La Pietra della Cometa è l’unico menhir che abbia questa funzione.
orkney_01

orkney_02

orkney-scozia
Molti sono i motivi che si possono ipotizzare per la costruzione di questo grande sito, si può però affermare con certezza che queste strutture dovevano avere grande importanza nella vita della Comunità e avevano una funzione religiosa o rituale.
Potevano essere delle aree di osservazione astronomica, sia per tracciare la posizione degli astri nel cielo a seconda delle stagioni, il che veniva poi usato per le predizioni, sia probabilmente anche per calcolare il tempo che passa.
Da studi effettuati anche su altri siti del genere, sembra ci sia un collegamento fra il movimento del sole e quello della luna attraverso il cielo, in particolare della luna, e questa doveva essere un’area molto felice per l’osservazione dell’astro lunare.
Poteva anche essere un centro cerimoniale e magico con la possibilità di alloggiare la popolazione locale che assisteva alle cerimonie o agli eventi.
Ci stavano sino a 3000 persone, mentre l’area delle pietre di Stenness era troppo piccola per contenere i partecipanti rituali.
Un’altra teoria è che l’anello di Brodgar sia stato una zona dedicata al culto dei morti, mentre le pietre di Stenness, con il relativo focolare centrale, potevano rappresentare la vita. Sotto quest’ottica si possono immaginare processioni che da Stenness andavano a Brodgar come viaggio simbolico della vita verso la morte.
Come riporta The Scotsman, lo scavo archeologico, che finora ha portato alla luce solo il 10 percento del sito originale, ha restituito migliaia di reperti incredibili, comprese aste cerimoniali, asce di pietra levigata, coltelli di selce, una figurina umana, pentole, spatole di pietra, ceramica altamente raffinata e più di 650 opere d’arte neolitica, la più grande collezione mai trovata in Gran Bretagna.
siti monumentali del Cerchio di Brodgar, le Pietre di Stenness, Skara Brae e la tomba di Maeshowe, tutti situati in un raggio di diversi chilometri da Ness, in passato venivano visti come siti isolati e con storie distinte. Ma con il progresso degli scavi, gli archeologi oggi pensano che questi monumenti megalitici fossero tutti collegati in qualche modo, anche se lo scopo complessivo rimane sconosciuto. Questo paesaggio è molto più integrato di quanto chiunque abbia mai ipotizzato,dice l’archeologo Nick Card, direttore degli scavi. “Tutti questi monumenti sono indissolubilmente legati da un qualche grande tema che possiamo solo immaginare. Le persone che hanno dato vita a tutto ciò facevano parte di una società più complessa e capace di quanto solitamente si pensi”. Il sito di Ness, insieme ad altre strutture dell’Età della Pietra, formano il nucleo di un sito patrimonio mondiale dell’UNESCO chiamato il Cuore delle Orcadi Neolitiche.
119
Roff Smith, autore dell’articolo del National Geographic, è convinto che le Orcadi siano state abitate da persone in anticipo sui tempo. “Avevano la tecnologia dell’Età della Pietra, ma la loro visione era di millenni in anticipo”.

Insomma, un fertile e lussureggiante arcipelago al largo della punta settentrionale della moderna Scozia, su cui è stato realizzato un complesso di edifici monumentali completamente differente da quanto visto fino a quel momento.

Team Mistery Hunters

Patagonia: sulle orme dei giganti

mag

Marzo del 1520, nei pressi di Baia di San Julian, in Patagonia.
Il grande esploratore Italiano Ferdinando Magellano intuì che si sarebbe potuto trovare un passaggio spingendosi ancora più a Sud del continente Americano. Attraverso, il passaggio per la Terra del Fuoco, in quello stretto che ora prende il suo nome, stretto di Magellano appunto fino a sfociare nell’Oceano Pacifico, così denominato per via delle acque calme e limpide, dopo le burrasche sudamericane. Una volta giunto nelle Filippine, per il semplice fatto di aver trovato simpatico il sovrano indigeno che lo aveva accolto, decise di immolarsi e di combattere con il suo equipaggio la tribù nemica del sultano di Cebu. Probabilmente sottovalutando l’abilità bellica dei suoi avversari, si trovò nel bel mezzo di una carneficina inaspettata: morì sotto le lance e le frecce nemiche e il suo corpo non fu mai più recuperato. Una piccola parte del suo equipaggio riuscì a salvarsi, per poi fuggire verso le Molucche e lentamente rientrare in patria. Tutto quello che sappiamo di questo viaggio, è merito di Antonio Pigafetta, fedele braccio destro di Magellano durante la spedizione, di cui scrisse il diario di bordo.
Fu lui a parlare per la prima volta di giganti in Patagonia. Il nome Patagonia si fa risalire all’incontro di Magellano con i primi nativi che incontrò in quella terra inospitale, dopo che aveva deciso di fermarsi a svernare nella baia di San Julian. Erano uomini alti e corpulenti e non sorprende che i marinai, la cui altezza media non superava il metro e sessanta, videro accanto a loro dei veri e propri giganti. Si presume inoltre che Magellano avesse letto la saga di Primaleon, il personaggio buono che combatte contro il mostro Patagon, un’opera cavalleresca uscita qualche anno prima in Europa, e che di fronte al gigante che si muoveva in modo sgraziato e lasciava sulla sabbia impronte spropositate abbia sospirato: “Oh el Patagon!”. Da quell’episodio sulle carte geografiche cominciò forse ad apparire il nome Patagonia.
magelmap
Pigafetta scrive in veneto rinascimentale:
«Essendo l’inverno le navi intrarono in uno bon porto per invernarse. Quivi stessemo dui mesi senza vedere persona alcuna. Un dì a l’improvviso vedessemo un uomo, de statura de gigante, che stava nudo ne la riva del porto, ballando, cantando e buttandose polvere sovra la testa. Questo era tanto grande che li davamo alla cintura e ben disposto: aveva la faccia grande e dipinta intorno de rosso e intorno li occhi de giallo, con due cuori dipinti in mezzo delle galte».
Le leggende attorno alla presenza di uomini enormi nascosti in capo al mondo si moltiplicarono e durarono per secoli, alimentando una fitta produzione letteraria e artistica, oltre alla curiosità dei futuri esploratori che raggiunsero quella zona.
imbelloni
Ora considerando che gli spagnoli del Cinquecento erano alti in media un metro e sessanta, la misura riportata dal marinaio italiano è ovviamente esagerata. Bisogna osservare che all’epoca la Patagonia era una terra sconosciuta che i più pensavano essere l’Antichthon, l’antimondo, dove la neve cadeva dal basso all’alto e gli uomini avevano orecchie così grandi che potevano avvolgersi dentro come fossero coperte, quando cadevano nel sonno, e i marinai, che avevano in mano l’esclusiva dell’informazione, usavano questo potere a modo loro per impressionare il più possibile chi li stava ad ascoltare. Per secoli i naviganti continuarono a toccare le coste atlantiche della Patagonia e trovarono sempre ad attenderli ai loro approdi i famigerati giganti. Fu così per Francis Drake, Cavedish, John Byron e James Cook, per citarne alcuni. Finché qualcuno riuscì ad entrare in quella terra inospitale, viaggiando addirittura a fianco dei suoi abitanti. Siamo nell’Ottocento e il viaggiatori sono G: C: Musters e F. P. Moreno. Gli abitanti della Patagonia erano davvero alti in modo impressionante. Lo si capisce bene da una fotografia, dove l’ing. Imbelloni con il suo metro e ottanta di altezza fatica a emergere tra le teste dei prigionieri patagoni. Non c’è dubbio che il popolo Tehuelche siano stati molto alti, paragonabile a quella dei sudanesi Dinka, gli olandesi e croati, che al giorno d’oggi sono i popoli più alte della Terra. Ned Chace, un americano che ha vissuto in Patagonia tra il 1898 e 1929 aveva sentito da nativi suoi contemporanei di altri” indiani in Patagonia e oltre ai Thuelche, più grandi di loro, e ostili a loro “. Chace era sicuro che fossero giganti perché aveva scavato alcune vecchie tombe e in una di quelle che si trova un grande osso della gamba che appoggiato a terra” misurava due pollici [5 cm] sopra il sua ginocchio.
Chace era alto 1,80 m. Ci sono tuttavia rapporti veri e attendibili sulle antiche storie di terribili battaglie combattute in Southern Santa Cruz, dove le tribù si decimavano a vicenda ;
L’esploratore italiano Giacomo Bove nel 1881 ha scritto che un “gaucho” locale (cowboy argentino) di nome García gli ha detto che durante la guida delle mucche attraverso il sud di Santa Cruz, si è imbattuto in ” una valle piena di ossa “; erano gigantesche, e umane, che appartenevano ad ” una razza estinta una nazione di uomini con scheletri colossali”.
fda8d5a68fbb81b2f2b133b72a39ba43
Dunque mettendo da parte per un attimo leggende e racconti, magari “ingigantiti”, quello che appare quanto meno strano è che nello stesso periodo anche altri popoli come ad esempio i Tiremenen, avversari dei Tehuelche, fossero anch’essi di statura elevata si parlava di una media che superava il metro e 80. Altri dati interessanti possono trovarsi in riferimento ad un’altra popolazione della terra del fuoco i Selk’nam.
b2fb89fec66fca54fb52602b3c086d9e

ritualidad_02
I Selk’nam arrivarono in Argentina già 10.000 anni fa, alla fine dell’ultima era glaciale. Appartenevano probabilmente ad una seconda ondata migratoria, sviluppatasi a oriente della catena andina, ed è possibile fossero imparentati con i Tehuelches della Patagonia e i Guaicurù del Chaco con cui avevano in comune i tipi di maschera e i riti di iniziazione. Ma si ipotizza pure che tutte e tre le popolazioni indigene abitanti la Terra del Fuoco, discendessero da tribù asiatiche, le quali, attraversato lo Stretto di Bering, erano migrate fino all’altro estremo del globo. I colonizzatori europei li scoprirono solo intorno alla metà dell’Ottocento. Tuttavia il primo avvistamento si fa risalire al viaggio di Fernão de Magalhaês (Ferdinando Magellano), che il 21 ottobre del 1520 si avventurò attraverso lo stretto passaggio che metteva in comunicazione l’oceano Atlantico col Pacifico, dapprima chiamato Todos los Santos e poi ribattezzato col suo nome. Si racconta che lungo le rive di quel canale e in mezzo alle sue isole ardessero i fuochi accesi dai Nativi. (Wikipedia) Anche Charles Darwin nel suo diario nella data 22 Gennaio 1833, menziona la tribù dei Selk’nam conosciuti anche come Ona. Un aspetto interessante è la religione di questo popolo. La religione dei Selknam tende ad essere descritta come politeista, principalmente dall’esistenza di vari personaggi che sono considerati divinità. Ma, secondo le credenze del popolo selknam solo Temáukel è riconosciuto come un dio, mentre tutti gli altri personaggi della mitologia sono identificati come antenati mitologici. D’altra parte, è importante indicare che le caratteristiche attribuite a questi antenati mitologiche sono tipiche di quelle esseri che potremmo definire come dei. Per questo, è quindi possibile considerare che la religione dei Selknam era, piuttosto, di carattere enoteistica. Così, abbiamo un essere superiore, simile al Dio delle religioni abramitiche, che corrisponde a Temáukel; dei o antenati mitologiche chiamati howenh, di cui il primo per abitare la Terra era Kenos, un dio creatore, mandato da Temáukel, e infine Xalpen e loro subordinati, i Soorts, che erano gli abitanti del mondo sotterraneo. Probabilmente questa mini indagine non dimostra e difficilmente potrà essere dimostrato che in quelle zone siano esistiti realmente i giganti, fatto sta che rimane quanto meno anomala l’esistenza di diverse popolazioni, provenienti probabilmente tutti da una stessa discendenza, dalla straordinaria forza e statura, in un mondo quello dell’epoca dove l’altezza non era certo una caratteristica peculiare. Dove vi sono tantissime similitudini tra le diverse religioni e credenze, che usavano strani costumi, come riti di iniziazione proprio come gli Anasazi che vivevano tra lo Utah, il Colorado, il Nuovo Messico e l’Arizona con i loro pittogrammi molto simili ai costumi della terra del fuoco.

wan5

img_0387

anasazi_mistery

anasazi

Oppure i Wandjina
wan

wan4

wan3

ke4eedcf47

anche loro con pittogrammi e costumi simili che vivevano in Australia quindi decisamente lontani per potersi influenzare a vicenda.
Personalmente non credo che un semplice flusso migratorio abbia portato intere culture a spostarsi e colonizzare con usi e costumi, in posti lontani migliaia di chilometri.
Diverse sono le teorie i lettori del nostro blog e chi ascolta la nostra radio li conosce, certo è che se avessero avuto un passaggio sarebbe stato tutto più facile giusto?
Ad ogni modo sono davvero tante le popolazioni che riscontrano similitudini, che farebbero pensare ad un’unica scintilla a dar vita a questo immenso fuoco. Purtroppo in un mondo di pompieri non c’è spazio per i piromani della cultura…

Giuseppe Oliva – Team Mistery Hunters

Il Globo di Matelica


Il Globo di Matelica è una sfera di marmo bianco cristallino scoperto nel 1985 e rappresenta un singolare modello di orologio solare giunto a noi dall’antichità. Il marmo con cui è stato realizzato è greco e proviene forse dalla cava di Afrodisias (zona di Efeso) oggi Turchia. Si tratta di un marmo particolare, composto da grossi cristalli, che luccicano quando sono esposti ad una fonte di luce.

La sua circonferenza misura 93 cm, molto vicina a quella di due “cubiti fileterei” (un cubito filetereo corrispondeva a 46,83 cm), da cui si ricava il diametro che è di 29,6 cm, che, guarda caso, corrisponde esattamente a quella di un “piede attico”. La sfera è divisa esattamente a metà da un’incisione, allo stesso modo di come l’Equatore divide la Terra.

L’emisfero superiore è a sua volta diviso a metà da un altro solco, che interseca un foro, situato approssimativamente sulla sommità del Globo, ed il centro di tre cerchi concentrici (calotte sferiche) di vario diametro. Queste 3 circonferenze sono a loro volta intersecate al loro centro da un arco di cerchio avente il raggio di misura uguale a quello più grande. Attorno a queste circonferenze sono ancora visibili delle parole incise in antico alfabeto greco; sulla sommità dell’emisfero superiore sono presenti 13 fori, di cui 3, quello sommitale e i due posti lungo il solco che divide a metà il Globo, hanno un diametro superiore agli altri. Accanto ad ogni foro sono state incise altrettante lettere dell’alfabeto greco antico.


Infine nella parte inferiore del Globo è stata scavata una depressione conica terminante in un grosso foro rettangolare, che serviva a fissare la sfera su una base. Il globo è costruito per funzionare a una latitudine di circa 43°, come quella di Matelica, di conseguenza, esso è stato costruito proprio per la città. Perché sia stato fatto, da chi, e come mai i greci si siano interessati tanto a Matelica resta un mistero.

Attualmente il globo è custodito nel Museo Civico Archeologico di Matelica.

Giuseppe Oliva Team – Mistery Hunters

Lo strano caso della Pietra Borghese

pietra borghese1

Siamo il Liguria nei pressi di Borzonasca (GE).

La Pietra Borghese un gioiello geologico dell’Appennino, è un’enorme massa rocciosa dalla strana forma, situata nei pressi del rifugio di Monte Aiona. La forma acuminata della roccia e il materiale di cui è fatta la rendono naturalmente adatta ad attirare i fulmini. Attraverso studi geologici è stato determinato che la roccia è composta da Iherzolite, affiorata dal mantello terrestre. Tale materiale è altamente magnetico ed è per questo motivo che le bussole impazziscono nelle vicinanze della roccia. Si dice inoltre che se percossa da un martello la Pietra Borghese risuoni come una campana.
Oltre che un luogo caratteristico per gli amanti del mistero, questo sito è molto attraente anche per i geologi. Le proprietà della pietra sembrano quindi spiegate grazie agli studi geologici praticati su di essa.Giunti vicino al “WMeteorite” l’ago della bussola viene deviato di oltre 100 gradi rispetto al nord originario, circostanza causata dall’alto contenuto di magnetite.
Si tratta di rocce eruttive intrusive chiamate peridotiti lherzolitiche provenienti dal mantello sottocontinentale, che risalirono progressivamente nel Giurassico affiorando sul fondo di un antico oceano (l’Oceano Ligure Piemontese) ora scomparso, attraverso sistemi di faglie formatesi durante i processi distensivi che ne causarono l’apertura prima della formazioni degli Appennini. La denominazione deriva dal Massiccio di Lherz, un complesso peridotitico alpino nei Pirenei francesi.

Essa è composta principalmente da silicati (i minerali più diffusi della crosta terrestre) di magnesio e ferro, nello specifico da olivina e pirosseno. In affioramento la peridotite appare stratificata in bande di cristalli di olivina trasparenti e da pirosseni scuri, tuttavia, essendo l’olivina più tenera e quindi facilmente erodibile le bande di pirosseno appaiono in rilievo.
Le analisi radiometriche hanno datato queste rocce a 2,5 miliardi di anni fa, catalogandole fra le rocce più antiche d’Italia. La particolare struttura di Pietra Borghese fa si che se la colpiamo con un martello tende a risuonare come una campana. Infine, causa l’abbondante presenza di minerali ferrosi, questa roccia fa “impazzire” la bussola deviandone l’ago anche di 180°”.
Le stranezze di questo luogo e di questa roccia non finiscono qui, si dice che al suo interno vi sia una galleria dove sono stati trovati degli antichi graffiti al momento però è impossibile verificare, per cui diciamo che questa leggenda resta al momento tale, in quanto anche se circolano sul web alcune foto
graffiti

inv015a
di questi graffiti, non le riteniamo attendibili, in quanto simili ad altre in altre parti del mondo, certo è che se così fosse, sarebbe una scoperta sensazionale, resta ad ogni modo una splendida ricerca geologica su di un luogo in ogni caso magico, anche senza eventuali “misteri”
Giuseppe Oliva – Team Mistery Hunters